Panel SIAA 2015: ComunicAzione e antropologia

ComunicAzione e antropologia. Successi e fallimenti nella professione e nella diffusione del sapere antropologico

Entro il 15 luglio 2015 puoi inviare una proposta al panel organizzato da Ivan Severi e Francesco Zanotelli per il Convegno SIAA 2015 a Prato.

logo della Societa` Italiana di Antropologia ApplicataDal 17 al 19 Dicembre 2015, al Polo Universitario di Prato si terra` il Terzo Convegno Nazionale della Società Italiana di Antropologia Applicata dedicato quest’anno al confronto tra ‘Antropologia Applicata e approccio interdisciplinare’.

Nell’ambito del convegno uno specifico panel sara’ dedicato al controverso rapporto tra antropologia e comunicazione pubblica inteso sia in ambito professionale sia in ambito divulgativo.

La struttura di potere del mercato editoriale, unita ad una generale crisi di vendite dell’intero comparto, ha causato una situazione di svantaggio per i prodotti delle ricerche di taglio etnografico. I costi di pubblicazione e traduzione appaiono sempre più proibitivi, considerata la generale difficoltà di accesso ai fondi per la ricerca. A parte alcune edizioni di nicchia, l’accesso alle collane delle principali case editrici è sostanzialmente interdetto agli antropologi. Vige un clima di competizione, piuttosto che di collaborazione, tra le discipline che, seppur accademicamente diverse, operano nell’ambito delle scienze sociali e affrontano temi in merito ai quali diverse prospettive metodologiche possono offrire importanti contributi. Il panorama dei mass media è ancor più desolante, con poche sporadiche (ma interessanti) eccezioni, grazie alla presenza di alcuni antropologi in radio e nei blog di approfondimento culturale sul web. Il lamento per la sostanziale assenza degli antropologi nella comunicazione pubblica non può essere liquidata come una frustrazione del proprio ego intellettuale. Vanno invece rilevate le conseguenze negative nella strutturazione del campo di potere al quale si accennava, la ricaduta potenziale sulla diffusione del metodo e del contributo antropologico nelle pratiche professionali e, più in generale, nel contributo alla costruzione di un pensiero critico sui processi sociali nei quali siamo immersi. Data questa situazione cosa si può fare per avere una voce pubblica più forte? Su una simile questione si interroga, tra gli altri, in maniera abbastanza precisa Thomas Eriksen (2006) fornendo una spiegazione che assume i toni dell’autocritica interna alla disciplina, interrogando gli stili di scrittura, le intenzioni e le modalità di comunicazione degli antropologi al pubblico extradisciplinare e a quello non accademico. Osservando i diversi stili che si sono alternati nella tradizione di successo della scrittura antropologica francofona e anglofona (da quello estraniante a quello basato sulla critica culturale, da quello dell’inchiesta universalizzante alla simil-letteratura di viaggio, passando per il saggio fino ad arrivare alla biografia), Eriksen individua alcuni punti di forza che sembrano andati persi durante gli ultimi decenni del XX secolo, con il progressivo consolidamento accademico della disciplina. I principali problemi addotti riguardano la complessità del contenuto delle ricerche antropologiche, l’incapacità da parte degli antropologi di misurarsi con la velocità dei nuovi mezzi di comunicazione e la semplificazione dell’analisi che questi impongono. Negli stessi anni anche l’antropologia americana è stata passata al vaglio critico attraverso la proposta della Public Anthropology di Robert Borofsky (2002), il quale rivendica la necessità di adottare un linguaggio più accessibile e di affrontare tematiche di interesse pubblico per riaccaparrarsi quello spazio ormai colonizzato da altre discipline che hanno saputo compiere questo sforzo. La comunicazione pubblica e la diffusione dei risultati sono momenti critici per una disciplina, come l’antropologia, che pone questa pratica alla base della propria epistemologia. Se da un lato Sanjek (2004) ci ricorda che è una nostra precisa responsabilità quella di restituire i risultati della nostra ricerca ai soggetti che li hanno prodotti assieme a noi, dall’altro siamo anche invitati a ricercare i metodi PIN di Pratopiù opportuni per farlo. L’antropologia, soprattutto nella sua dimensione applicata, necessita di un ulteriore livello comunicativo strettamente connesso a quello esposto poco sopra. L’antropologo applicato lavora, nella gran parte dei casi, fianco a fianco con esperti e studiosi provenienti da altre discipline e a questi si rivolge. In questa situazione si rende necessario uno sforzo comunicativo ulteriore che non è rivolto alla divulgazione ma alla costruzione di un terreno comune di intesa, un pidgin, che deve saper preservare la specificità dell’approccio antropologico e allo stesso tempo fornire strumenti e risultati utili e comprensibili nel contesto di lavoro. Questo particolare approccio si rifà ad una tradizione che affonda le radici negli albori della disciplina, quando il lavoro in equipe interdisciplinari era la norma e non l’eccezione. D’altro canto, ricercatori e ricercatrici brillanti come Marietta Baba (1994) non cessano di farci notare quanto utile possa essere l’antropologia soprattutto quando si spinge oltre i propri confini e si mette al servizio di discipline altre. In questi casi l’antropologo si trova alle prese con forme di restituzione che non sono quelle a cui è abituato (come la classica monografia): aggiornamenti in itinere, gruppi di lavoro, riunioni organizzative, redazione di letteratura grigia, restituzioni che coinvolgono in modo massiccio collaboratori e soggetti della ricerca, etc.

Noi individuiamo quindi due ambiti dove il problema della comunicazione si rivela cruciale per il dialogo tra formazioni disciplinari diverse e tra antropologi e pubblico non specialistico: quello dell’azione (nei servizi sociali, nella cooperazione internazionale, nelle strutture sanitarie, etc.) e quello della diffusione dei risultati delle ricerche attraverso le forme scritte (nelle collane editoriali, nelle riviste, nei settimanali e quotidiani) così come attraverso le modalità audiovisive, televisive e telematiche. Entrambi questi settori costituiscono occasioni di sviluppo futuro per una disciplina che, sempre di più anche in Italia, sta maturando una coscienza professionale e ambisce a muoversi in ambiti lasciati sguarniti dall’accademia. Saper padroneggiare questi livelli della comunicazione significa quindi allargare i confini dell’applicabilità e gli ambiti di impiego per gli antropologi.

Nel tentativo di conoscere più a fondo e costruire un dibattito intorno a questa situazione, e al fine di individuare strategie di azione migliorative, sono auspicate proposte di interventi nei due ambiti.

Nel caso dell’azione, dovranno essere esemplificativi di occasioni nelle quali si è resa palese la difficoltà di comunicazione tra antropologi ed altri operatori formati in campi disciplinari diversi o al contrario quando si è presentata l’occasione di costruire linguaggi condivisi. Gli interventi si dovranno focalizzare sui principali punti di contrasto e sulle tecniche usate per superarli, o su quelli di contatto, con esempi concreti dei risultati ibridi ottenuti e sulla loro efficacia.

Nel caso della diffusione, sono ben accetti interventi che presentino casi editoriali e altre tipologie di prodotti, che analizzino gli stili, le forme che hanno favorito la divulgazione (o la sostanziale distrazione) presso un pubblico che supera i confini del mondo accademico-disciplinare (dei docenti e degli studenti). Infine, saranno prese in considerazione analisi della struttura e delle dinamiche di potere nel campo della comunicazione e del posto che l’antropologia vi occupa (dai blog, alla radio, dalla televisione all’editoria), funzionali a comprendere i principali ostacoli all’accesso degli antropologi alla comunicazione pubblica.

Per conoscere le modalità di presentazione e selezione delle proposte di abstract al convegno, e per conoscere i termini di iscrizione e i contenuti degli altri panels del convegno, consulta il programma completo .

Ogni panel potra` ospitare un massimo di 10 interventi, pertanto e’ prevista una selezione ad opera dei coordinatori, basata sulla congruenza della proposta rispetto al tema del panel.

         

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